ADDIO KOBE BRYANT – 3 ANNI SENZA IL BLACK MAMBA

26 gennaio 2020, data nefasta per il basket mondiale, che ha dovuto salutare per sempre e in maniera del tutto inattesa uno dei suoi interpreti più talentuosi, iconici e infiniti. Per via di uno spaventoso incidente in elicottero avvenuto sulle colline della California, Kobe Bryant perse la vita assieme alla figlia, Gianna, e ad altre sette persone. Molto è stato scritto in merito alla tragedia che ha colpito l’ex All Star dei Los Angeles Lakers, ma ciò che più colpisce ancora oggi è quanto sia ancora vivo e presente il ricordo e l’animo del natio di Philadelphia, quella Mamba Mentality che negli ultimi anni è sempre più diventato un monito di impegno e dedizione per ciò a cui si tiene.

KOBE, TRA L’8 E IL 24

Tra i tanti episodi che hanno caratterizzato una carriera eccezionale come quella di Kobe, uno, forse, rende l’idea di quale fosse la grandezza mentale del giocatore passato anche dall’Italia a seguito di papà Joe, giocatore anch’egli, anche se di meno talento. All’arrivo in NBA, nel lontano 1996, il giovane Bryant scelse la canotta numero 8, numero che venne poi cambiato dallo stesso Kobe nel 2006, quando dai Lakers se ne andò Shaquille O’Neal. In un’intervista, anni dopo, la guardia racconterà: “Quando sono arrivato nella lega dovevo farmi vedere, sfidavo tutti, dovevo ‘piantare la mia bandierina’. Il cambio al 24 è un segno di crescita, di maturità, sono diventato leader. Non c’è un meglio o un peggio, semplicemente si cresce“.

THE BLACK MAMBA, DA TARANTINO A KOBE

2004, nelle sale esce Kill Bill – volume 2, seguito del tanto amato film di Quentin Tarantino, uno dei registi più segnanti per quanto riguarda il pensiero comune. Uno dei personaggi principali è Beatrix Kiddo, assassina di professione, che tra le varie battute ne dice una che avrà un certo peso specifico nella carriera e, più in generale, nella vita di Kobe Bryant: “In Africa c’è un detto, che dice che nella boscaglia un elefante può ucciderti, un leopardo può ucciderti e un black mamba può ucciderti, ma solo con il black mamba la morte è sicura”. Ed ecco l’immagine perfetta, per quello che sul campo sarà per sempre ricordato come uno dei più mortiferi giocatori di 1 vs 1 della storia, un black mamba che non lascia scampo agli avversari, il Black Mamba, Kobe Bryant.

NO FEAR, QUANDO KOBE RIMASE FERMO

Uno degli episodi più iconici della straordinaria carriera di Kobe Bryant sui campi NBA rimarrà, senza ombra di dubbio, quello riguardante il duello che nel 2010 lo vide protagonista in un match contro gli Orlando Magic a fare scintille con Matt Barnes, che, in una rimessa da fondo campo con l’intento di spaventarlo, finse di tirare una pallonata in faccia al campione dei Lakers, che non solo non indietreggiò, ma non batté nemmeno le palpebre. La grande durezza mentale di questa scena, oltre che essere stata immortalata dalle telecamere, è stata anche confermata dai due protagonisti. L’All Star gialloviola dirà: “Lui ha provato a scuotermi, ma io non ho esitato un attimo“, mentre l’avversario, che poi sarebbe diventato anche compagno proprio in quel di Los Angeles, non si limiterà: “Lui era come Michael Jordan“.

ALLENAMENTI DA SOLO? SI E SENZA PALLA

Episodio anomalo di un campione anomalo è stato raccontato da un suo ex compagno di squadra, quel Shaquille O’Neal con cui aveva avuto un rapporto non sempre rose e fiori. Nella biografia del gigante americano viene raccontato un curioso aneddoto riguardo quel giocatore che in campo era schierato da guardia affianco allo stesso Shaq: “Arrivavo in palestra e lui era già sul campo. Chiedevo da quanto fosse lì, mi dicevano che arrivava sempre tre ore prima di noi ed era lì, a tirare e dribblare. Ma non usava la palla, giocava da solo e senza palla, immaginando le situazioni attorno a lui. Credo gli sia stato utile allenarsi così”

di Riccardo Caglio

Foto Twitter Kobe Bryant

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